“Ho incontrato Giuseppe Scarabelli”

Luigi Enzo Mattei

Associazione per le Arti Francesco Francia, Bologna – luigienzomattei@gmail.com

Da quasi tre anni ogni mattina il primo volto che incontro entrando nello studio è quello di Giuseppe Scarabelli, nel modello in plastilina che è sopravvissuto alla fusione.Una fisionomia della quale mi sono naturalmente appropriato, dopo averla scrutata a fondo nei documenti e nelle opere altrui per farla diventare mia, tanto da considerarlo un rapporto di confidenza, un volto quindi divenuto familiare, capace del “saluto” quotidiano tradotto in abitudine… nel piacere quotidiano così di un bell’incontro.

Non fu però semplice identificare la vera immagine di Giuseppe Scarabelli poiché la notevole documentazione disponibile è tanto abbondante quanto discordante; il volto mutato, la capigliatura fortemente ridimensionata nel tempo, il tributo agli stereotipi di cui pittura e scultura si sono nutrite, nonché il giudizio della Committenza che a fronte di ogni illustrazione ne sottolineava i limiti affermando che ognuna delle immagini non fosse quella calzante, mi hanno complicato e al tempo stesso semplificato il lavoro, al punto che il risultato può ben dirsi uno Scarabelli “inedito”, mai visto prima o meglio intravisto e immaginato nella sublimazione di un uomo senza età.

Un percorso avvenuto con il sostegno e l’approvazione convinta della Committenza che si è avvalsa del sussidio di due testimoni compartecipi in tale avventura, la dottoressa Lia Linari Toldo e il professor Gian Battista Vai.

La realizzazione di un ritratto, specie di un busto, implica l’obiettivo che “con una parte si rappresenti il tutto” e regolarmente questo accade; chi infatti dubiterebbe della consistenza del corpo o dell’atteggiamento fisico, pur virtuali ma ben presenti nel riguardante, così dalle linee costruttive della parte resa tangibile il mondo sensibile si somma a quello della deduzione, un risultato convincente se per tale ragione la conoscenza e gli atteggiamenti del personaggio da rappresentare precedono la modellazione.

Ogni esperienza artistica poi è anche involontariamente erede di quelle precedenti, così il nostro esprime anche la seriosità della propria epoca come l’immagine del coevo Ernesto Teodoro Moneta, primo italiano Nobel per la Pace, fermi nella posa statica e presenti nello sguardo profondo, come anche per il meditativo Alberto Santos Dumont in cui in movimento è solo il pensiero; a fronte invece i dinamici busti a “tutto tondo”, come il nostro, del Capitano De Tommaso e, come lui, i luminari della Medicina Labò e Barbara, nonché l’Angiola Sbaiz, prima donna a presiedere l’Ordine degli Avvocati a Bologna, ognuno colto nel proprio fare pur nella compostezza degli abiti che sono divise.

Un rischio quindi definire le sembianze di chi non si è potuto conoscere direttamente, d’altra parte l’esperienza e la ricerca nell’arte e con l’arte è fatta di piccoli errori e grandi correzioni, sino allo stile che è la meravigliosa sintesi dei propri errori, lavorando e approfondendo l’impegno sino al momento in cui l’opera “si mette a parlare”, proprio come Collodi suggerisce.

Così nel 2018 è cominciata l’impresa, scelto come materiale la plastilina, particolarmente adatta alla successiva tecnologia della fusione a cera persa, duttile e preziosa utile al recupero – fatta eccezione per il nostro caso – ho cominciato con i volumi inseguendo poi i connotati fisiognomici, aiutato nel percorso dalle tante immagini disponibili, con la certezza che quanto stavo ottenendo dovesse somigliare ad ognuno dei campioni ma non derivarne da alcuno… e questa frequentazione, indagando i particolari, ricostruirli, interpretarli, sceglierli, porta a quella che ho chiamato appunto confidenza, estesa nel tempo quasi un’amicizia, un incontro memorabile.

La plastilina è divenuta poi stampo in silicone protetto dal gesso, da questi il positivo in cera, dalla cera ad altro stampo in ceramico per poi ottenere il bronzo; saldato e cesellato, patinato sino a giungere al risultato finale; un percorso affidato alle immagini poste a corredo.

L’uomo che ne è uscito non è una interpretazione ottocentesca del personaggio, è invece un uomo dell’Ottocento che vive oggi in uno spazio che gli appartiene, circondato dall’attenzione e spesso dalla curiosità, una conoscenza che tramite la fisionomia può giungere alla grande eredità culturale e scientifica, con la consapevolezza che se ogni linguaggio dell’arte sia di per stesso “contemporaneo” altrettanto il risultato ottenuto svela la “contemporaneità” di quanto rappresentato.

Il 13 maggio 2019 a Palazzo Sersanti, nella sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Imola l’opera è stata scoperta, un lavoro questo busto di Scarabelli, che ho potuto presentare come il tipo d’opera che riesce meglio di quanto l’autore non meriti.

Il bronzo passerà poi sulla cattedratica mensola del Museo Geologico Universitario Giovanni Capellini a Bologna mentre a Imola rimarrà una replica in polvere di marmo, la cui patina finale in terracotta assumerà il colore e il sapore del cromatismo di Palazzo Sersanti, a indelebile e armonioso ricordo di un figlio illustre della città, un illustre figura che ho il privilegio di incontrare tutti i giorni, nelle sembianze che collaborazione, ricerca e intuizione hanno reso vive e attuali.

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